L’isola per sua natura geografica è sempre stata in una posizione defilata rispetto ai grandi avvenimenti italiani, ma conoscerne lo sviluppo nel tempo è ugualmente interessante perché spesso la storia locale ha le sue pagine movimentate e guerresche, e perché andare a scavare nei piccoli cassetti di una casa aiuta a comprendere molte cose suoi abitanti; così anche seguire il lento scorrere della vita di provincia serve ad avere un quadro esatto della storia della mentalità di un popolo.
Il medioevo ischitano
Con l’arrivo e l’insediamento dei Longobardi in Italia, l’isola entrò a far parte, con i ducati di Gaeta, Napoli, Amalfi e Sorrento, “dell’estrema periferia dell’Impero Bizantino”.
Nel 588, l’imperatore Maurizio ne concesse il dominio diretto a Napoli e, nel 661, l’isola ebbe un governatore proprio con il titolo di Conte, alle dirette dipendenze del Ducato di Napoli. I ritrovamenti archeologici hanno accertato la presenza di impianti di fabbriche di terrecotte ("ceramica bizantina"), di qualche officina metallurgica. Il paesaggio ischitano era però soprattutto rurale, pressappoco come nel periodo romano, con insiemi frammentari di proprietà che prendevano la denominazione di "fondo", seguito dal nome del proprietario, "vico", "luogo", "villa", "casale"..., di cui restano tracce nella toponomastica attuale. I proprietari, in questo periodo, erano la Chiesa e cittadini napoletani.
Nel 598 papa Gregorio Magno interviene per la tutela dei diritti dei napoletani. Nella lettera usa l’espressione "de insulis" per indicare l’isola e l’isolotto del castello. Questo testimonia che per l’isola non esiste più un nome proprio (Pithekoussai, Aenaria), ma il nome comune "insula" che, per evoluzione fonetica spontanea, passerà a "isla" e, infine, a "Ischia". Nel IX secolo, l’isola subisce continue e ripetute incursioni saracene e, nell’812, il papa Leone III invia una lettera a Carlo Magno per raccomandargli le sorti degli abitanti di "Iscla Maior", cioè, dell’isola grande. L’isolotto del castello, "Insula Minor o "Gerone", era ormai fortificato, "kastron", e nel 991 poté resistere vittoriosamente ai Saraceni. Gli insediamenti aperti, cioè non difesi, erano detti "khorìa", termine da cui quasi certamente deriva il toponimo Forio.
Un documento del 1036 offre molte informazioni sull’isola, anche se non tutte sono state recuperate. Il Conte Marino e sua moglie Teodora, che avevano fatto costruire un piccolo tempio in onore di Santa Restituta sulle rovine dell’antica basilica paleocristiana alle falde di Monte di Vico, lasciarono tutti i beni che possedevano nelle odierne Lacco Ameno, Casamicciola, Fontana, Barano e sul Castello, al convento e alla chiesa di Santa Maria, condotti da monaci benedettini e situata sul monte Cementara (oggi Cimmiento) nell’odierna Lacco Ameno. Il documento ci informa anche dell’esistenza di altri due conventi, uno a Sant’Angelo e l’altro a Testaccio. Nel 1228 si ha notizia di un terribile terremoto distrusse "molte ville...con la rovina e morte di ben 700 persone".
Nel periodo in cui Ischia appartenne alla Sicilia (1287-1299) è ambientata la sesta novella della quarta giornata del Decamerone, in cui Giovanni Boccaccio narra il rapimento, da parte di marinai siciliani, di Restituta Bulgaro, una bellissima giovinetta ischitana, che viene poi liberata dal suo giovane innamorato, nipote di Giovanni da Procida. Le ricerche di Salvatore Fodale hanno, d’altra parte, attestato la presenza di numerosi ischitani in Sicilia, confermata anche, nella toponomastica palermitana, dal nome di un cortile detto degli Ischisani. In questo periodo compaiono toponimi di villaggi restati inalterati fino ad oggi, mentre altri ci sono ancora oscuri. Il Castello comincia ad assumere la propria funzione di protezione rispetto ai casali sparsi; si sviluppò il centro Borgo Mare o Borgo Celsa (l’odierna Ischia Ponte), ove, fra l’altro, sorge il complesso del convento agostiniano di Santa Maria della Scala.
Durante il conflitto aragonesi-angioini l’isola, ed il castello in particolare è teatro di scontri.
Pietro III, promettendo aiuti, aveva invitato anche gli Ischitani a ribellarsi agli Angioini, ma solo nel 1297 l’ammiraglio Ruggero Loria poté impossessarsi del Castello. I tentativi degli Angioini per riprendersi l’isola furono contrastati dall’ischitano Piero Salvacossa, ma lo stesso ne trattò la resa nel 1299. Carlo II d’Angiò gli concesse ufficialmente il perdono, come "a tutti gli abitanti di Ischia che si erano ribellati insieme a lui e avevano aderito agli Aragonesi". Concesse anche che l’isola restasse demaniale in perpetuo. Per la sua posizione strategica il Castello fu fortificato ancor più e vi sorsero anche case patrizie. Carlo fece, inoltre, costruire un porto ai piedi del Castello per la flottiglia militare e mercantile, con bacino di carenaggio e cantiere. Gli uomini di Ischia erano padroni di una numerosa flotta, la cui presenza è testimoniata nei porti, fra tanti altri, di Venezia, Bari, Palermo, Pantelleria, Roma, Tunisi, Libano. Vascelli ischitani trasportarono, inoltre, vettovaglie e soldati a Tunisi per il re di Francia, Luigi IX il Santo.
Nel gennaio 1301 (o 1302) vi fu l’eruzione, detta di Fiaiano, terribile e prolungata, "che distrusse ogni segno di presenza umana lungo la traiettoria della colata lavica". Quando tutto si placò, gli abitanti ritornarono e, per lo più, si insediarono nel Borgo Mare, intorno al convento dei Frati Agostiniani, dove l’abitato si andava sempre più infittendo.
Nel 1320, fu ospite del Castello il re Roberto d’Angiò, principe dotto e protettore delle lettere, che accolse alla sua corte Petrarca e Boccaccio. Era accompagnato dalla moglie Sancia e da dignitari. Fu ricevuto con grande sfarzo dal governatore conte Cesare Sterlic. Quando la dinastia angioina si estinse, seguirono le immancabili lotte di successione, e Ischia fu più volte il terreno di queste lotte. Già per la successione di Giovanna I era stata occupata da Carlo Durazzo; sul monte Rotaro era avvenuta la battaglia fra le truppe di Ladislao Durazzo e quelle di Luigi II d’Angiò. Il Castello d’Ischia compendia tutte le tappe dell’ascesa di Alfonso d’Aragona al trono di Napoli. Caduto in disgrazia della regina Giovanna II, che pur lo aveva adottato, Alfonso nel 1423 riparò a Ischia e la saccheggiò, perché la riteneva troppo fedele alla regina. Questa riuscì a riprendere l’isola con l’aiuto d’una potente flotta genovese che saccheggiò e devastò l’isola intera.
Nel 1438, Alfonso d’Aragona, aiutato da Michele Cossa, signore di Procida, che aveva un grande ascendente sugli abitanti di Ischia, espugnò, correndo il pericolo di morire annegato, il Castello, difeso soprattutto dai seguaci di Giannozzo Manocia, favorevole agli Angioini. Alfonso mandò in esilio i difensori e costrinse le loro mogli e figlie a sposare i 300 catalani, suoi fedeli, ai quali diede la fortezza. Divenuto re, donò l’isola alla sua favorita, Lucrezia d’Alagno di Torre del Greco, la quale ne affidò il governo a suo cognato, lo spagnolo Giovanni Torella. Resosi conto dell’importanza strategica del Castello, Alfonso ne fece consolidare le strutture, costruire una galleria in sostituzione della vecchia scala esterna e con un ponte lo legò all’isola, un ponte che poteva "essere battuto" dal cannone. Per finanziare questi lavori applicò un dazio su sale, ferro e pece, importati o esportati da Ischia. Concesse molti favori, "privilegi", agli ischitani, fra cui la proprietà di mezzo miglio di mare con spiagge, lidi e promontori; li esentò da ogni tipo di imposta e accordò anche privilegi d’ordine giurisdizionale, ecclesiastico e onorifico.
Gli succedette Ferdinando I, detto Ferrante, che fu costretto a combattere fino alla morte contro i baroni in rivolta. Anche il governatore del Castello, Giovanni Torella, non volle riconoscerne la sovranità e il re inviò truppe aragonesi che lo sconfissero. Torella si unì a corsari e alle truppe di Giovanni d’Angiò, riprese il Castello, ma morì in battaglia, sui monti di Campagnano. Ferdinando I abdicò, all’arrivo di Carlo VIII, in favore del figlio Ferdinando II, il quale fu costretto a rifugiarsi a Ischia, dove uccise il castellano, Giusto di Candida, colpevole d’intelligenza col nemico. Affidò l’isola a Inigo d’Avalos, marchese di Pescara e del Vasto, il quale la difese vittoriosamente contro Carlo VIII. Il re poté rientrare in Napoli e, alla sua morte, gli succedette lo zio Federico I, che ben presto si vide strappare il regno da Luigi XII, re di Francia. Chiese aiuto al cugino, Ferdinando II il Cattolico, ma questi, con il trattato di Granada, si era già accordato col sovrano francese sulla spartizione degli stati italiani. Federico si ritirò a Ischia ove visse per qualche tempo, poi preferì arrendersi ai Francesi e non a suo cugino Ferdinando che lo aveva tradito. Partì per la Francia, affidando l’isola al Marchese del Vasto. Quando si riaccese il conflitto tra Francia e Spagna, il re Federico ordinò di cedere l’isola al re di Francia. Inigo d’Avalos e sua sorella Costanza, fondamentalmente spagnoli, preferirono difenderla contro le galere francesi, facilitando così al gran capitano Gonzalvo de Cordoba l’occupazione di Napoli.
Nel 1504, Ferdinando il Cattolico diventò anche re di Napoli.
Lo stato napoletano venne così riassorbito dagli Aragona, diventando per più di due secoli soltanto viceregno spagnolo. Ferdinando il Cattolico concedette il dominio a vita dell’isola d’Ischia a Costanza d’Avalos. Il "superbo scoglio", il castello, divenne il soggiorno di "gran capitani" e di governatori, di belle donne, quasi tutte principesse o dotate di peso politico, ma, soprattutto, "un cenacolo umanista del Rinascimento attorno a Vittoria Colonna". Vittoria sposò sul castello Francesco Ferrante d’Avalos, che fu poi il vincitore di Pavia, dove fece prigioniero Francesco I, re di Francia. In seguito alle ferite della battaglia, Ferrante morì. Era ancora molto giovane, la sua morte lasciò Vittoria Colonna in uno stato di profondo dolore. Quasi tutte le vicende storiche della prima metà del ’500 ebbero come cassa di risonanza il castello: la battaglia di Ravenna (1512), la battaglia di Pavia (1525), il sacco di Roma (1527), la battaglia di Capo d’Orso (1528). E quando il papa, Clemente VII, per liberare Roma dai Lanzichenecchi, impegnò ornamenti sacri, tiara e gioielli, li consegnò a Alfonso del Vasto, il quale li diede in custodia alla zia Costanza d’Avalos sul Castello.
Questo fervore di vita andò spegnendosi e già nel 1554 Ariadeno Barbarossa con i suoi corsari aveva saccheggiato, devastato e distrutto ogni angolo d’Ischia. Seguì l’incursione di Dragut (1546), per cui l’isola, secondo una descrizione del 1574, si presentava in uno stato pietoso e di grande povertà. Si trattava per lo più di marinai, pescatori e faticatori, insediati in villaggi, i cui lineamenti e limiti sono precisati nella carta di Mario Cartaro, allegata, nel 1588, all’opera del medico calabrese, Giulio Iasolino, che descrisse i bagni d’Ischia e i loro effetti medicamentosi. Durante il Viceregno Ischia venne divisa in tre Università: quella della Città e dell’Isola (l’attuale comune d’Ischia), quella di Forio con Panza, quella del Terzo che comprendeva Fontana, Barano, Casamicciola e Lacco, cioè, tutto il territorio mediano ("el tercio"). Restava, tuttavia, sotto la signoria dei d’Avalos e solo nel 1734 circa, ottenne l’autonomia, tornando al demanio.
Durante la guerra di successione spagnola, Napoli, quindi Ischia, passò sotto il governo austriaco e nel 1734 sotto quello borbonico con Carlo III.
Durante la Repubblica Partenopea, nel marzo 1799, anche Ischia innalzò "l’albero della libertà"; ma già ai primi di aprile, la flotta inglese sbarcò sull’isola per punire gli insorti, dei quali molti finirono nelle prigioni di Sant’Elmo, altri sul patibolo, altri in esilio. Nel 1806, il Regno di Napoli fu dato a Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone I, e nel febbraio dello stesso anno i Francesi occuparono l’isola d’Ischia e vi installarono presidi per rispondere agli attacchi della flotta inglese. I Francesi iniziarono una politica di riforme: abolizione della feudalità, riforma dell’anagrafe e dello stato civile, riforme nella giustizia amministrativa e giudiziaria, riforma del sistema tributario.
Nel 1808 salì sul trono di Napoli Gioacchino Murat
il quale azzardò qualche mossa politica indipendente da Napoleone, ma nel 1815, sconfitto a Tolentino e costretto ad abdicare, si rifugiò a Casamicciola - alla Sentinella- da dove ripartì per tentare di riconquistare il regno. Catturato a Pizzo Calabro, fu fatto fucilare dai Borboni. Dopo il Congresso di Vienna, Ferdinando rientrò a Napoli con il nome di Ferdinando I re delle Due Sicilie, essendo di nuovo i due regni riuniti. Ischia venne aggregata al Distretto di Pozzuoli e il Castello, che già nel 1799 era stato adibito a bagno penale, venne annesso al demanio e diventò ergastolo ufficiale.
Sotto Francesco I, re delle Due Sicilie (1825-1830), molte calamità si abbatterono sull’isola d’Ischia, fra cui il terremoto del 1828 che ridusse un cumulo di rovine Casamicciola. Con Ferdinando II anche Ischia fu inserita in un vasto programma di opere pubbliche: rete stradale, cavo telegrafico Ischia-Continente, chiesa di Portosalvo e, soprattutto, l’apertura del Porto che aprì nuovi orizzonti all’economia isolana. A Casamicciola i Borbone aprirono la bella strada Ferdinandea (oggi Principessa Margherita), la strada Maria Teresa (oggi Via Garibaldi), la Strada Regia, oggi detta la Borbonica, strada rotabile a mezza costa, che da Forio, passando per il Fango, arriva al Maio. A Forio s’interessarono e intervennero per il molo e la chiesa di San Vito. La storia delle dominazioni ad Ischia termina nel 1860 con l’unità di Italia.
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