Ischia: romanzo d'inverno
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Percorrendo la strada che da Forio porta a Panza ci si imbatte in palazzo Piromallo di Montebello e immediatamente nasce la fame di notizie su questa prestigiosa tenuta ai piedi dell’Epomeo. Ci viene in soccorso il sito realizzato dal comune di Forio in collaborazione con l’università Federico II di Napoli, che ha catalogato il patrimonio storico architettonico foriano. Il palazzo fu edificato tra la fine del XVIII e i primi decenni del XIX sec. nell’area di un originario casino di caccia risalente probabilmente al XVIII sec., costruito nei pressi di una cisterna.
Il villaggio di Panza, come testimonia anche D’Ascia nella sua Storia dell’isola d’Ischia del 1867, era infatti rinomato fin dall’epoca dei re Aragonesi per la caccia di quaglie e tortore. Una ricostruzione dei passaggi di proprietà della tenuta si ricava proprio dal testo di D’Ascia (1867) che precisa di aver ricavato la notizia da tradizioni locali.
A proposito delle riserve di caccia dei sovrani aragonesi, lo storico scrive che furono cedute alla famiglia del Vasto, la quale le conservò fino al 1734, anno in cui, abolita la signoria, cedette le sue proprietà e aggiunge che i beni del villaggio di Panza, «e propriamente la casina di riposo nei tempi di caccia, posta alla contrada Casa-Mattere, e il Bosco-Campoteso e le pianure circostanti, le cedettero ad un compare nominato D. Benedetto Libero al quale donarono ancora alcuni quadri e dipinti».
Crollato il casino, i fondi rustici passarono a un tal Benedetto Patalano i cui eredi li vendettero parte alla famiglia Pezzillo, parte alla famiglia Maltese. Un’altra notizia riportata dallo storico isolano riguarda due enormi vasi di creta intatti rinvenuti nel 1863 tra i ruderi di un cellaio scavando in un giardino del vicolo Casa Patalano di proprietà di Nicola Pezzillo che li fece trasportare nella sua villa di Panza.
La famiglia Pezzillo era una delle più importanti di Forio e possedeva gran parte del territorio panzese, compreso il casino.
Giuseppe Pezzillo morì a Napoli nei moti del 1848, come ricorda una targa posta accanto al palazzo lungo il corso avv. Francesco Regine, dimora abituale della famiglia. La figlia di Nicola Pezzillo, Luisa Pezzilllo Rodoero, sposò il conte napoletano Giacomo Piromallo. Il conte, da cui l’edificio ha preso il nome, fece ampliare la struttura.
Il figlio primogenito, il marchese Giuseppe Piromallo Capece Piscicelli di Montebello, ne fece uno stabilimento enologico. Il palazzo ed altre case padronali di famiglie patrizie, costruite sull’isola durante il periodo borbonico in terreni situati al di fuori del centro urbano, furono realizzate, come ha evidenziato Ilia Delizia, con la duplice funzione di controllo della produzione e di casa di villeggiatura nei mesi estivi.
La vinificazione iniziò intorno al 1820, con la produzione del "Calitto" (nome derivato dalla denominazione della piana).
I primi imbottigliamenti furono fatti dal barone Marcello Rodinò, marito di Maria, una delle tre figlie di Giuseppe Piromallo.
L’edificio ha subito alcune modifiche nel 1883, quando, in seguito al terremoto, fu abbattuto il piano superiore, pericolante, e fu costruito uno chalet in legno comunicante con il corpo principale; accanto al palazzo fu edificata anche una chiesetta privata (la famiglia Pezzillo comprendeva molti sacerdoti).
Due iscrizioni poste sui muri esterni posteriori ricordano l’epidemia di colera del 1837 : «DEUS NOBIS HAEC OTIA FECIT MDCCCXXXVII» e «DUM PALLIDA TISIPHONE MORBOS EGIT ANNO DOMINI». Negli anni ’60-’70 lo stabilimento ha ospitato manifestazioni culturali. La proprietà è stata divisa per la costruzione della strada provinciale che collega Forio a Panza.
Il podere, che aveva un’estensione originaria di circa 800 ettari, è stato frammentato tra gli eredi delle famiglie proprietarie. La tenuta antistante la villa è stata recentemente presa in fitto agrario dal viticoltore ed enologo Andrea D’Ambra. Lungo la strada provinciale che collega Forio a Panza, sulla sinistra, all’interno della vasta distesa di terreno dominata dalla mole dell’Epomeo, spicca il palazzo Piromallo con il suo colore rosso pompeiano.
La costruzione è in pietra di tufo con intonaco dipinto. La si raggiunge percorrendo un lungo viale alberato terminante in un ampio cortile. La facciata principale presenta un pianterreno ed un primo piano; sulla copertura piana a terrazzo si eleva un corpo a torre con merlatura.
Sull’ampio spazio centrale si aprono alcuni archi, uno sulla sinistra e due sulla destra, e quattro portali dai quali si accedeva a locali destinati ai lavori agricoli: magazzini, stalle, spazi per la lavorazione dell’uva.
L’arco a sinistra del cortile conduce a uno spazio adibito alla sosta dei cavalli, come testimoniano i ganci fissati alle pareti, e a un deposito di attrezzi; uscendo dall’altro portale ad arco situato di fronte e sormontato all’esterno da un’edicola votiva raffigurante una Crocifissione, si incontra a destra un’altra scala in piperno che conduce al piano superiore. Dal cortile due rampe di scale in piperno portano ai locali del primo piano, riservati alla famiglia proprietaria. Sette finestre corrispondono ad altrettante stanze, ricoperte con volta a botte e rivestite di intonaco verde o rosa.
Oltre alle camere da letto, vi sono una cucina, un’ampia stanza da pranzo e i servizi; i pavimenti sono in cotto o mattonelle in ceramica; particolari sono le finestre ad oculo. Proseguendo dal cortile verso destra, si giunge alla piccola chiesa, ancora consacrata, che reca sulla facciata lo stemma della famiglia Piromallo. L’edificio è affiancato da una torre campanaria ben visibile dall’ampio terrazzo del piano superiore; l’interno della chiesa, ad una navata, è decorato con stucchi.
I proprietari potevano accedere alla cappella dall’interno del palazzo tramite una scala e seguire le celebrazioni dall’alto, nascosti dietro una grata, coperta da una struttura in legno visibile all’interno della chiesa in alto a destra; la porta che conduce alle scale di accesso alla cappella, situata all’estremità di uno stretto corridoio, è sormontata da un oculo e da una scritta in latino: «DOMUS MEA EST DOMUS ORATIONE».
Accanto alla chiesa, sulla destra, un cancello affiancato da due pilastri sormontati da leoni conduce ad un viale che attraversa il terreno antistante; percorrendolo, al confine della proprietà si trovano due ricoveri per gli animali. Salendo invece la scalinata che fiancheggia all’esterno la chiesa, si arriva allo chalet in legno con tetto a spiovente, comunicante con il corpo centrale della villa. L’ingresso principale presenta un portone a cui si accede salendo una breve scalinata in marmo; le pareti esterne dello chalet sono decorate con alcuni motivi geometrici. All’interno le stanze hanno pavimenti in legno; una scala a chiocciola in ferro battuto conduce ad una stanza al piano superiore dotata di balcone con ringhiera in ferro, su cui è saldato uno stemma raffigurante un leone rampante sormontato da una corona.
Girando dietro la chalet, superata la cucina in intonaco bianco, si arriva di fronte alla facciata posteriore della villa. Qui è collocato un ingresso secondario, segnalato da un ampio portale in legno con battenti a forma di testa di leone che apre sulla sala da pranzo; accanto, sul muro, si notano i resti dello stemma dei Piromallo. Caratteristiche sono le finestre della facciata posteriore, tutte di forme e dimensioni diverse.
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