La leggenda di fondazione del culto del Crocifisso del Soccorso
La scultura lignea (dei primi anni del XVI secolo) fu ritrovata in mare e quindi portata nella chiesa del Soccorso, la quale esisteva già nel XIV secolo, essendo annessa ad un antico convento di agostiniani ( soppresso nel 1653 da Innocenzo X, ma le cui celle sono ancora oggi visibili nella parte sotterranea dell’edificio). La chiesetta era in origine costituita da una sola navata ma l’edificio, dal caratteristico asimmetrico prospetto, poi fu ampliato e modificato nel 1791, nel 1854 e dopo il terremoto del 1883. Numerosi sono gli ex voto marinari conservati nella chiesa (in prevalenza ottocenteschi), a testimonianza di un patronato esercitato dal Crocifisso e dalla Madonna del Soccorso sulla gente di mare.
Brando tratto dal saggio di Ugo Vuoso “Di fuoco, di mare e d’acque bollenti. Leggende e tradizioni dell’isola d’Ischia” Imagaenaria, 2002.
Le pratiche di devozione nei confronti del Crocifisso “venuto dal mare” si rafforzano all’interno del quadro culturale già vivo delle Anime purganti, le cui raffigurazioni su maioliche policrome del XVIII secolo decorano i parapetti della gradinata della chiesa, ridondante di icon e simboli della Passione.
È ben noto, del resto, il rapporto tra il motivo dell’acqua, connesso ai riti di separazione e di margine, e il tema generale del Purgatorio e delle “anime in pena”.
Nelle culture alieutiche e marinare, inoltre, le rive, gli scogli ed i promontori assumono valenze liminali, diventando luoghi dell’immaginario mitico e religioso di particolare rilevanza: in queste "zone di confine", com’è narrato in molti racconti di ambito piscatorio, si identificano i rapporti fra i vivi e i morti e le pratiche ad essi connesse, come la divinazione.
Nel sistema di credenze isolano, le spiagge, nella notte che precede la festa di S. Giovanni, sono attraversate in volo dalle janare, dai cui malifici ci si può difendere con manciate di sabbia, elemento utilizzato anche nel confezionamento dei "sacchetti" di protezione magica che si facevano indossare ai bambini.
Caverne subacquee s’aprivano sotto i piedi degli impenitenti che nel giorno di S. Giovanni si tuffavano in mare, infrangendo così un divieto imposto dal santo stesso.
In un’antica storia è narrato che un uomo insabbiò il proprio asino sulla spiaggia dei Maronti, a Barano, per curarlo dai dolori articolari che lo affliggevano. A sera, quando andò a liberarlo, scoprì con raccapriccio che dell’asino era rimasta sola la testa, il cui muso spasimava in un riso sardonico, mentre tutto il resto dell’animale era stato inghiottito dal fondo sabbioso, sede di arcaiche e potenti forze ctonie e sottomarine.
Le stesse che restituirono l’oro del Crocifisso facendolo riaffiorare dalla sabbia (o dalla cenere o dall’albero nido d’uccelli, tutti simboli, questi, del mondo dei morti).
Dalla spiaggia, inoltre, si compivano rituali tesi ad allontanare trombe marine e temporali ma anche, secondo le testimonianze demologiche, riti per provocare nubifragi e naufragi. In molti racconti, del resto, sono proprio le anime del Purgatorio a salvare dai naufragi le imbarcazioni dei pescatori, azione miracolosa poi passata alle peculiarità del Crocifisso "Venuto dal mare" e che, nel testo orale, si dice venuto «dalla Sardegna».
Dalla seconda metà del Settecento e fino ai primi decenni dell’Ottocento, i traffici marittimi con la Sardegna furono intensi e numerosi erano gli ischitani che stagionalmente si recavano a lavorare sulle coste sarde, sui bastimenti attrezzati per la pesca dei crostacei e sulle "coralline". Navi sarde e napoletane, inoltre, imbarcavano botti di vino nei porti di Forio e di Ischia per trasportarli in varie località del Mediterraneo. Il racconto leggendario conserva infiniti motivi legati alla trasformazione del luogo che, nell’orografia turistica, diventa un punto d’osservazione privilegiato per la contemplazione estetica dello spazio marino e per il godimento del "magico" fenomeno del raggio verde.
Gesù Cristo del Soccorso è venuto da lontano, non era dell’isola. Stava su di un bastimento diretto in Sardegna.
Per una forte tempesta la nave fu ancorata nella baia del Soccorso. Per non stare con le mani in mano, i marinai decisero di dare una ripulita a tutta la nave.
A bordo avevano la statua di Gesù Crocifisso. Dice: «E questo Gesù Cristo dove lo portiamo?» «Portiamolo nella chiesa che si trova proprio qui sopra!» E così lo trasportarono nella chiesa del Soccorso. Dopo due o tre giorni il mare si calmò e, naturalmente, i marinai tornarono nella chiesa perché volevano riprendersi il Crocifisso e proseguire così il loro viaggio. Sollevarono la Croce per portarla fuori ma, fatti due o tre passi verso la porta, s’accorsero che quella non c’era più. Riposero il Crocifisso e cominciarono a guardarsi intorno: «Ma come! Eppure siamo entrati di là, la porta c’era!» dicevano l’uno all’altro.
Ritentarono: sollevarono il Crocifisso e cercarono di uscire dalla chiesa.
Dopo tre tentativi, capirono che Gesù Cristo voleva rimanere nella chiesa del Soccorso, e lì lo lasciarono, mentre loro ripartirono per la Sardegna. Ora, quel Crocifisso si rivelò miracoloso e, col tempo, i devoti avevano offerto tanti preziosi per le grazie ottenute che s’era creato proprio un tesoro.
Mi hanno raccontato che il Crocifisso è stato derubato del suo tesoro per tre volte.
Una volta rubarono gli oggetti e li nascosero in una quercia che stava in un campo a Via Pirro. Rimase nell’incavo dell’albero per molto tempo e nessuno riusciva a trovarlo. Un giorno un ragazzo notò un nido d’uccelli proprio su quella quercia. Appoggiò una scala albero e salì fino all’altezza del nido e venne fuori l’oro: «Il tesoro! Il tesoro di Gesù Cristo al Soccorso!» ed effettivamente era tutto quello che avevano rubato in chiesa. Così trovarono il tesoro quella volta.
La seconda volta lo rubò un napoletano.
Proprio sotto al Soccorso c’era una vecchia casa diroccata, una casa abbandonata dagli antenati e che il mare aveva distrutto. Infatti, molto tempo fa, ai piedi del promontorio del Soccorso, c’erano alcune di queste casupole distrutte. Ricordo che in una specie di spelonca, da quelle parti, abitava un vecchio chiamato Sparapalle, vale a dire "fuochista".
Dopo la prima guerra mondiale ripulirono tutto e costruirono quel gran muraglione che si vede adesso. Quella casa insomma era un ammasso di macerie ma si vedevano ancora le antiche cucine con i focolari di una volta. Il ladro nascose l’oro sotto la cenere del focolare e poi, con una gran faccia tosta, prese parte alle ricerche. Era di Napoli ma aveva sposato una ragazza di Forio. «Cosa!» diceva «hanno rubato l’oro del Cristo! É un sacrilegio!».
Dopo svariate ricerche, trovarono il tesoro nascosto sotto la cenere.
La terza volta che trafugarono il tesoro lo nascosero sotto la sabbia. Ci fu una gran mareggiata e dalla sabbia affiorò l’oro del Crocifisso
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