Metti una sera d’estate ad Ischia vicino al mare: la “Puttanesca”
Voi che sedete in tavola, accarezzati da un leggero vento di mare, e vi accingete a mangiare un profumatissimo piatto di vermicelli alla puttanesca, forse non sapete che questa ottima ricetta è nata proprio qui, sull’isola di Ischia, un po’ di tempo fa. Anzi questo piatto così estivo è nato due volte, perchè sono due i personaggi che se ne contendono la partenità e per di più anche della stessa famiglia. Scopriamo insieme la storia della puttanesca, il primo piatto più gustoso che una mente culinaria possa immaginare...
La “puttanesca” oggi è famosa in tutto il mondo, anche se andate a New York potete mangiare un grande piatto di vermicelli conditi con la salsa ischitana. Il nome stesso della ricetta ci conduce in un’atmosfera un po’ golidarica, in quelle serate che si svolgevano – e tuttora si svolgono sull’isola di Ischia – dove la compagnia è allegra, la notte è lunga, ed il mare fa venire fame.
La ricetta della puttanesca è attribuita al pittore Eduardo Colucci da Jeanne Capore Fracesconi nel libro “ La cucina Napoletana”, ma l’architetto Sandro Petti - nipote di Eduardo Colucci – dice che ad averla inventata è stato lui. Non volendo fare torto a nessuno raccogliamo entrambe le partenità, anche perchè una grande ricetta può avere anche due genitori! Erano gli anni del dopoguerra e in una bella villetta affacciata su Punta Molino viveva in estate il pittore Eduardo Colucci.
La villa Rosica, che potete ammirare facendo una passeggiata lungo il lido di Ischia, diventò il luogo di incontro di Eduardo e suo fratello Vincenzo con gli amici provenienti da tutta Italia. Nella casa rosa affacciata sul mare era ospite per lunghi periodi il regista Luchino Visconti, come ricorda una targa di ceramica posta all’ingresso della villa, ma vi trascorsero il bel tempo ischitano anche Jean Anouilh, Anna Magnani, Vittorio Gassman, Eduardo De Filippo, Carlo Carrà.
La splendida terrazza di Villa Rosica tanto vicina al mare da esserne quasi lambita, era il posto migliore dove trascorrere le serate d’estate. E durante una di queste notti ischitane Eduardo Colucci preparò un piatto veloce a base di pomodorini a piennolo e olive, un piatto “espresso” come si dice a Napoli, ovvero cucinato velocemente: era nata la puttanesca.
Allora: il pittore aveva creato la ricetta, ma per aspettare il battesimo e quindi l’apposizione del nome, dobbiamo giungere agli anni 60 quando il nipote di Colucci, Sandro Petti, ne prepara un piatto per gli amici durante un after hour, come diremo oggi, nel mitico “Rangio Fellone”, il piano bar più in voga nelle estati ischitane degli anni ’50 e ’60.
A raccogliere la testimonianza di Sandro Petti è Anna Maria Chiarello che scrive: «Una sera intorno alle quattro del mattino, eravamo al Rangio e c’erano degli amici veramente affamati – racconta Petti – avevo finito tutto così li avvisai: mi dispiace, dissi loro, non ho più nulla in cucina, non posso prepararvi niente. Ma quelli insistettero dicendo: dai Sandro, è tardi ed abbiamo fame, dove vuoi che andiamo, facci una puttanata qualsiasi». Così l’architetto che aveva anche la passione per la cucina oltre che quella per le arti, dopo un po’ portò una fumante zuppiera di pasta alla … puttanata. E cioè spaghetti, aglio, olio, pummarolelle, olive, capperi, pieni di prezzemolo. Un successo. La zuppiera tornò pulita in cucina.
«Ancora la conservo, la tengo nella mia villa romana, dice Petti, è talmente grande che con cinque chili di spaghetti si copre il fondo. La ricetta finì nel menù, “la chiamai puttanesca, non era carino puttanata – ma gli valse una bella reprimenda dal vescovo Ernesto De Laurentis a causa di quel termine un po’ volgare – Fui io e non mio zio a preparare per la prima volta quel sugo che chiamai poi alla puttanesca».
Venendo ad Ischia in vacanza sedetevi alla tavola più estiva del Mediterraneo. Scegliete il ristorante che più vi piace, magari guancia a guancia con il mare, oppure in profumato di campagna, e ordinate la mitica “puttanesca”, una prelibatezza tutta ischitana, dolce come i pomodorini pieni di sole, le olive nerissime e tanto prezzemolo, finiti gli spaghetti il piatto sarà ancora pieno di sugo, non intingere un po’ di pane nella salsa che vi invita alla “scarpetta” sarebbe una scortesia per il cuoco…
Ps: ad Ischia intingere il pane nei sughi sia dei primi piatti che dei contorni si dice “fare la scarpetta”. Qualcuno lo ritiene un costume un po’ rustico, ma il bello di fare un viaggio in un luogo genuino come Ischia è anche questo, una dolce deroga alle pratiche vietate in città.
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