Ischia è una isola assai vicina di Napoli, nella quale fu già tra l’altre una giovinetta bella e lieta molto, il cui nome fu Restituta, e figliuola d’un gentil uom dell’isola, che Marin Bòlgaro avea nome, la quale un giovanetto che d’una isoletta ad Ischia vicina, chiamata Procida, era, e nominato Gianni, amava sopra la vita sua, ed ella lui
Sono tanti gli scrittori che durante la storia sono stati di stanza ad Ischia e ne hanno eternato la bellezza dei luoghi a colpi di penna ...o pennino. Già perchè di Ischia si scriveva già nel periodo latino.
La prima testimonianza in lingua volgare medievale su Ischia è di Giovanni Boccaccio.
La storia che Pampinea, la meno giovane delle sette donne, narra nella quinta giornata del Decameron, è tratta dalla leggenda di Fiorio e Biancifiore, leggenda che Boccaccio aveva già raccontato nel Filocolo. Il re Federigo d’Aragona chiuse la bella Restituta nel palazzo arabo-normanno che ha nome Cuba. Sulle tracce della donna amata, Gianni arrivò a Palermo e intravide Restituta dietro una finestra del palazzo.
Durante la notte Federigo scoprì i due amanti addormentati e ordinò che fossero legati ed esposti nudi sulla pubblica piazza, prima di essere arsi vivi. Grazie alla testimonianza dell’ammiraglio Ruggeri di Lauria, i due giovani furono perdonati, perché identificati come il nipote di Gian di Procida, un partigiano degli Aragonesi e uno dei capi della rivolta dei Vespri (1282), e come la figlia del famoso Marin Bòlgaro.
«Ischia è una isola assai vicina di Napoli, nella quale fu già tra l’altre una giovinetta bella e lieta molto, il cui nome fu Restituta, e figliuola d’un gentil uom dell’isola, che Marin Bòlgaro avea nome, la quale un giovanetto che d’una isoletta ad Ischia vicina, chiamata Procida, era, e nominato Gianni, amava sopra la vita sua, ed ella lui. Il quale non che il giorno di Procida ad usare [risiedere] ad Ischia per vederla venisse, ma già molte volte di notte, non avendo trovata barca, da Procida infino ad Ischia notando era andato, per poter vedere, se l’altro non potesse, almeno le mura della sua casa.
E, durante questo amore così fervente, avvenne che, essendo la giovane un giorno di state [estate] tutta soletta alla marina, di scoglio in iscoglio andando marine conche [conchiglie] con un coltellino dalle pietre spiccando, s’avvenne in un luogo fra gli scogli riposto, dove sì per l’ombra e sì per lo destro [opportunità] d’una fontana d’acqua freddissima che v’era, s’erano certi giovani ciciliani, [siciliani] che da Napoli venivano, con una lor fregata raccolti.
Li quali, avendo la giovane veduta bellissima, e che ancor lor non vedea, e vedendola sola, fra sé diliberarono di doverla pigliare e portarla via; e alla diliberazione seguitò l’effetto. Essi, quantunque ella gridasse molto, presala, sopra la barca la misero, e andâr via; e in Calavria pervenuti, furono a ragionamento di cui la giovane dovesse essere, e in brieve ciaschedun la volea; per che, non trovandosi concordia fra loro, temendo essi di non venire a peggio e per costei guastare i fatti loro, vennero a concordia di doverla donare a Federigo re di Cicilia, il quale era allora giovane, e di così fatte cose si dilettava; e a Palermo venuti, così fecero».
I Romani apprezzavano il clima mite di Ischia e utilizzavano a scopo terapeutico le sue acque termali.
Il medico calabrese Giulio Iasolino riscoprì le proprietà medicamentose delle acque minerali che, ad alta temperatura, sgorgano ad Ischia e pubblicò nel 1588 De rimedi naturali che sono nell’isola di Pithecusa hoggi detta Ischia. Nell’immaginario collettivo, da questo momento l’isola diventa un verde giardino delle terme. Arrivano, sempre più numerosi, malati di gotta e di artrite che sperano nei benefici delle acque termali; tra questi, Giuseppe Garibaldi che crede di trovare nei bagni caldi a Casamicciola un rimedio per i postumi della ferita subita sull’Aspromonte. Giulio Iasolino, come una sorta di prefazione al suo trattato, scrive versi in cui accenna al mito del gigante Tifeo, incatenato nelle viscere del monte Epomeo:
«[…] che maraviglia sarà, se io metto, con tanto timore a trattar di materia tanto ascosa, ed in tutto riposta nelle viscere della antica madre? E vengono dopo tanti secoli a scoprir l’antica sepoltura del gran Tifeo […]»
Giovanni Verga ricorda Ischia quando arriva la notizia del disastroso terremoto di Casamicciola (1883). Queste brevi note sono di un maestro dell’impressionismo letterario.
«Quando giunse la notizia del disastro che aveva colpito Ischia mi parve di rivedere l’isoletta, quale mi era sfilata dinanzi agli occhi attraverso gli alberi del battello a vapore, in una bella sera d’autunno. La mensa era ancora apparecchiata sul ponte, e gli ultimi raggi del sole indoravano il marsala nei bicchieri. Dei viaggiatori alcuni s’erano già levati, e passeggiavano su e giù. Altri, coi gomiti sulla tovaglia, guardavano l’immensa distesa di mare che imbruniva sotto i caldi colori del tramonto su cui Ischia stampavasi verde e molle, e dove la riva s’insenava come una coppa. Casamicciola, bianca, sembrava posare su di un cuscino di verdura. […]».
Il locale eccentrico, come Giovanni Comisso chiama il Bar Internazionale “Da Maria”, a Forìo, è stato un punto di ritrovo per scrittori, artisti e pittori, come Alberto Moravia, Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini, Renato Guttuso, Libero De Libero, Truman Capote, Tennessee Williams, Maria Callas. Comisso scopre un paesaggio immenso e immerso in una luce accecante.
«[…] Sbarcati ad Ischia, nulla mi si impose di particolare, anche perché non si era nella stagione buona. Non so perché avevo sempre pensato fosse un’isola piatta e invece mi accorsi che dal centro si eleva un monte altissimo, piramidale e impervio. Il mio amico stabilì di proseguire per un’altra località più fuori di mano, più eccentrica nel doppio senso e più pittoresca. Appena s’arrivò, entrati in un caffè ci venne incontro la padrona, coi capelli tinti di nero, grondanti sulla fonte, che credendoci stranieri si mise a parlare con noi in un italiano coi verbi sempre all’infinito. Bisognò per forza farle sapere chi si era e che cosa si veniva a fare nell’isola. Allora trasse un album e ci fece vedere tutte le testimonianze lasciatele dai suoi illustri clienti stranieri e italiani, vi erano anche molte fotografie estive di lei in compagnia di famosissimi poeti e pittori d’ogni parte del mondo.Teneva appesi alle pareti diversi quadri incomprensibili e il soffitto era tutto coperto da fogli di riviste illustrate. […] La padrona per sedurci volle si salisse sul tetto che era come una terrazza e si poteva passare da una casa all’altra, segnata da muretti bianchi di calce, spuntavano vicino le cupole di ceramica gialla di una chiesa, sembrava di essere invero in una città araba. Quando ci si volse dall’altra parte, su dal mare in tumulto, si vide definita e chiara tutta la costa dell’Italia, da Miseno fino al Circeo, con le cime dei monti bianche di neve al sole. Era la stessa visione che aveva avuto Enea e anche Ulisse e si decise di fermarci.».
(G. Comisso Al Sud, Neri Pozza, 1996)
A Maria, la proprietaria del celebre bar, Elsa Morante ha dedicato il 9 ottobre 1958 questa semplice poesia:
«Alla cara Maria, la caffettiera Fra le isole belle una bella più bella fra le piazzette amate tra i caffè più ospitali: Caffè Internazionale di Forio. E alla cara Maria, la caffettiera fra tutte bella e amata ospitale e galante resti qui da stasera questo mio ricordo».
Eugenio Montale coglie l'isola nel momento dello sviluppo turistico, quando gli autobus si riempiono di vacanzieri tedeschi.
«Spesso ti ricordavi (io poco) del signor Cap. L’ho visto nel torpedone, a Ischia appena due volte. E’ un avvocato di Klagenfurf, quello che manda gli auguri. Doveva venirci a trovare. […] E’ strano che a comprenderti Siano riuscite solo persone inverosimili. Il dottor Cap! Basta il nome. E Celia? Che n’è accaduto?
Poche leggere pennellate intrise di aria, veloci, ma decise. Il Gigante - di nome e di fatto - della pittura napoletana trascorse lunghi periodi sull'isola di Ischia dipingendone i luoghi più amati..
Grazia frugale a colpi di scalpello nella roccia, minimalismo obbligato. Finestre nessuna, un arco e qualche tronco di castagno, unica apertura: l’uscio. Una vasca scavata tra i massi per la raccolta di acqua, dove ora c..
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