Se il maggiore fascino delle chiese dell’isola è nell’essere luoghi di culto in cui si respira una religiosità pacata e intimista, le chiese di Barano, il grande comune a sud dell’isola che estende il suo territorio dal mare alla collina, mantengono inalterata anche la bellezza feriale dell’architettura rurale
Ci piace cominciare questa nostra visita virtuale alle chiese di Barano da un edificio di culto che per il luogo dove si trova e per la semplicità delle sue forme rappresenta interamente la chiesa di campagna.
Per giungere alla Natività di Maria Santissima bisogna salire al villaggio dello Schiappone. Dagli archivi diocesani di Ischia apprendiamo che “ la località dello Schiappone intorno al 1500 era proprietà della nobile famiglia Russo. I fratelli Ottavio, Raffaele e Luigi Russo nella prima metà del ’600, vi fondarono la chiesetta con due cellette per gli eremiti. Nel 1656, però, i Russo morirono di peste e lo Schiappone passò di proprietà ad altri signori, tra cui i Siniscalchi, patrizi napoletani. Gli eredi di questi ultimi conservarono il diritto di patronato fino alla fine del secolo scorso. La chiesetta dedicata alla Madonna di Montevergine, venne ampliata agli inizi dell’ 800 da un certo Baldino eremita e lo stemma dei Siniscalchi sulla balaustra venne conservato.
D’Ascia, nella sua opera “Storia dell’Isola d’Ischia”, la descrive con una struttura architettonica a croce latina, più esattamente a croce commissa, con la cupola al centro del transetto. L’altare e la balaustra, rimossa in tempi recenti con lo stemma dei Siniscalchi, erano di marmi policromi, risalenti alla meta del XVI secolo. Lo stuccatore Domenico Savino, decorò le pareti e la volta. Ancora oggi si può ammirare la bellezza degli stucchi nelle ghirlande d’edera, di quercia, di rose e di stelle. La tela, collocata sull’altare, raffigurante la Madonna e Santi del secolo XVIII, ha sullo sfondo il castello Aragonese e la collina dello Schiappone.
La chiesa in genere era chiusa e veniva aperta per accogliere i pellegrini che da ogni parte delle isole d Ischia e Procida in occasione della festività dell’8 settembre (natività di Maria), si recavano numerosi sulla collinetta dello Schiappone, come ad un santuario, per venerare la Santa Vergine.
Lo storico D’Ascia nel suo libro su Ischia descrive nei particolari il pellegrinaggio del 7 e dell’8 settembre alla chiesa dello Schiappone: «Dai comuni lontani le carovane dei devoti, uomini, donne, fanciulli, frammisti in diverse età, confusi in diverso sesso, in allegra brigata, alle prime ore della sera del 7 settembre, partono per l’eremo, passando quasi l’intera notte in viaggio. Così le allegre carovane, dai paesi più prossimi, partono a più avanzate ore, in modo che, prima dell’alba... l’Eremo è popolato di venditori, di trafficanti e di devoti. Sull’atrio, sulle scale, sui poggi dell’Eremo stesso attendono che si apra la chiesa per assistere ai divini uffici e per pregare: la gente più civile e il popolo dei casali limitrofi accorrono all’Eremo a giorno fatto, altri nel dopopranzo, in modo che per tutta la notte, per un giorno intero è popolata quella solitaria campagna. È una fiera animatissima di uomini e di animali, di donne abbigliate in diversi costumi, di gente parlante in diversi dialetti. È una festa campestre piena di brio, con cui pare si saluta l’Autunno che si approssima; è una festa religiosa-popolare, da curiosarsi, perché è una delle poche feste campestri religiose, che richiamano tanto concorso di popolo da tutte le parti dell’isola».
Dal sito www.sinododischia.it apprendiamo che «Prima del 4 aprile 1949, quando il vescovo E. De Laurentis la elevò a parrocchia con il titolo di Natività di Maria la chiesetta dello Schiappone fu servita dagli eremiti, di cui si conoscono alcuni nomi: fra Gaspare Baldino (1838), morto miseramente sulla strada, mentre tornava da una questua; fra Giovanni e fra Pasquale (1886) e infine fra Pasquale da Fontana, rimasto fino agli anni 20.
Fu questo l’ultimo eremita e fu allontanato dopo aver fornito prova di dubbia moralità. L’eremita, per sopravvivere, era costretto a chiedere la questua per i casali d’Ischia, Procida e spesso anche nei dintorni di Napoli; vestito da frate, con i sandali ai piedi, zucchetto in capo, bussava di porta in porta e si annunciava con le parole "Madonna di Montevergine". Oltre alla cassettina per le offerte in denaro, egli recava con sé una bisaccia nella quale riporre le offerte in natura: olio, vino, salsicce.
Nella chiesetta, negli anni 50, fino a che un fulmine lo distrusse, c’era un quadro rappresentante un bambino di due anni circa; si trattava di un ex voto per un miracolo ottenuto, "il miracolo del muto". Questo bambino, muto dalla nascita, fu portato dalla madre in chiesa e adagiato sull’altare. La povera donna invocò per il figlio la grazia della parola e si allontanò. Giunta sulla soglia, il bimbo la chiamò "Ma... " e da quel momento parlò.
Ma di miracoli attribuiti alla S. Vergine dello Schiappone in epoca remota sono tanti, peccato che siano andati perduti gli ex voto che li testimoniavano. Per molti anni sull’esempio della processione del venerdì santo di Procida, si svolgeva partendo dallo Schiappone, giù per la Molara e poi su a Barano, a Testacelo e al Vatoliere e di nuovo su per lo Schiappone, una lunga processione del Cristo morto con tutti i misteri della passione: la flagellazione, il fuoco alla porta di Filato, le catene, il sacerdote della flagellazione, le tre Marie, Giuda impiccato, i due ladroni e Gesù morto (deposto dalla croce).
I simboli dell’ultima cena erano dodici grossi pesci. La processione così descritta da anni non si fa più, perché ritenuta troppo faticosa ma se ne svolge una più breve dalla chiesetta di Sant’Alfonso al Vatoliere alla chiesa di San Sebastiano a Barano».
Raggiungendo il centro storico di Barano troviamo proprio in piazza la chiesa di San Sebastiano.
Nel 1598 il Vescovo Innico d’Avalos parlando di Barano dice che: «nel casale vi è la cappella di San Sebastiano (platea d’Avalos), lì 29 agosto con l’atto del notar Aniello Mancusi, l’agostiniano Padre Cosmo da Verona si impegnava ad edificare un convento accanto alla chiesa e avrebbe chiamato anche un secondo “Padre da Messa”. In più Fra Cosmo si impegnava a costruire a destra di chi entra nella Chiesa una cappella per la Confraternita del SS. Sacramento». La popolazione di Barano sentì il bisogno di avere una Parrocchia come l’avevano Testaccio e Moropane. Fu così che San Rocco divenne sede della nuova Parrocchia sotto Monsignor Tontoli nel 1640. La chiesa presenta tre navate, con una bella decorazione a stucco di gusto neoclassico. Vi sono alcune tele di Alfonso Di Spigna ed altre attribuite ad un suo seguace. Si può ancora ammirare una statua a mezzo busto di S. Sebastiano, risalente al secolo XVIII. Il campanile fu costruito nel 1704.
Un altro tipico esempio di chiesa campestre è quella che troviamo sulla strada che da Barano conduce a Casamicciola, la bella via Cretaio, circondata da boschi di castagni e macchia mediterranea: la chiesa del Crocifisso.
Questa chiesetta venne costruita nel 1731 da Francesco Menga, patrizio ischitano, ed ospitò immediatamente un antichissimo crocifisso spagnolo, alto oltre due metri e mezzo. Posto sull’altare la scultura lignea si può ammirare tuttora. La chiesa venne rifatta più di una volta, soprattutto dopo il terremoto del 1883. Nei venerdì di marzo e di quaresima la chiesa è meta di pellegrinaggio.
Altra antica chiesa del comune di Barano è Santa Maria la Porta che troviamo nella piazza di Piedimonte
Un soleggiato paesino, anticamente chiamato “Piejo” dal greco piéeira = fertile, feconda. La chiesa di Santa Maria La porta, un tempo era dedicata all’Immacolata, fu fondata nel XVIII secolo ed è a tre navate. All’interno si conserva una tela dell’Immacolata del 1700, appartenente alla scuola pittorica dello spagnolo Murillo, e una pisside donata dal re Ferdinando II. Nella navata di destra vi sono le tombe di Mons. Giovanni Scotti (1874-1931), arcivescovo di Rossano Calabro, e del fratello Mons. Ciro Scotti (1883-1943), vicario generale della diocesi d’Ischia e autore di un libretto sulla possibile identificazione di Ischia con la terra dei Feaci e la omerica Scheria.
Ancora a Barano, nella frazione di Testaccio, il borgo che domina l’immensa bai dei Maroniti, troviamo la chiesa di San Giorgio: parrocchia molto antica di cui si hanno notizie d’archivio dal secolo XVI.
Il culto di S. Giorgio è documentato, tuttavia, già dal secolo XIV: è venerato, infatti, come patrono minore dell’isola d’Ischia. I documenti d’archivio ci tramandano notizie sull’invasione operata dal corsaro Barbarossa nel 1536 e nel 1544, nonché il numero dei prigionieri che furono portati via per essere venduti come schiavi in Algeria. La chiesa è stata rifatta nel sec. XVIII e decorata di stucchi da Domenico Savino nella prima metà del sec. XIX. Vi sono alcune tele di un certo interesse. Quella che oggi costituisce la navata di destra è l’antico oratorio della Confraternita di S. Maria di Costantinopoli che dal 1928 si trova nella chiesa della Madonna delle Grazie. Sempre a Testaccio la chiesa della Madonna delle Grazie: situata lungo la via S. Giorgio. Fondata nel 1748 dal sacerdote Aniello Nobilione. La facciata è moderna. L’interno presenta una decorazione a stucco di un ignoto maestro stuccatore del sec. XVIII. Di particolare interesse sono la tela che pende sull’altare e quella sotto il soffitto attribuita a Cesare Calise, pittore foriano. Vi si ammirano statue lignee di un certo interesse. Oggi la chiesa è sede della Confraternita S. Maria di Costantinopoli.
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