La visita alle chiese del comune di Ischia
A volte diroccate, spesso defilate, ma anche barocche e panciute le chiese del comune di Ischia dal Castello a Sant’Alessandro..
La via Gaetano Morgera conserva l’antico tracciato e le primitive costruzioni; percorrendola dopo un po’ ci imbattiamo in un gioiello di architettura locale, edificato nel 1620 da Sebastiano Sportiello, per adempiere ad un voto: la chiesa di San Carlo al Cierco, dal nome della frazione o più semplicemente di San Carlo Borromeo, dal santo effigiato sull’altare maggiore.
Essa fu fino al 1807 grancia della parrocchiale di San Vito ed alle spese per il suo mantenimento partecipava la locale Università. Essa svettava poderosa grazie ad una cupola con lanternino di notevole altezza, posta all’incrocio del transetto con la navata, come ben si evince da un raro disegno del Mattei del 1847.
Purtroppo il disastroso terremoto del 1883 provocò il crollo sia della cupola che della volta a botte che ricopriva la navata. Altri danni, anche se di minore consistenza, furono arrecati alla chiesa dall’alluvione del 1910.
Una caratteristica singolare della chiesa è costituita dall’ampio utilizzo del tufo verde, una pietra locale adoperata generalmente nelle costruzioni, che invece qui viene usato con rustica eleganza nel portale esterno, negli archi, nel cornicione aggettante, nei pilastri ed addirittura per il rivestimento di alcune cappelle.
La facciata presenta al di sopra del portale un timpano semicircolare nel quale è inserita una lapide. Più in alto una finestra anch’essa in tufo verde è sormontata da un’edicola nei cui due fornici trovano posto le campane.
L’interno, a pianta basilicale, presenta una sola navata, protrudente in un ampio transetto; nelle pareti laterali si aprono tre archi, mentre al di sopra dell’architrave, sulla fascia del fregio, si alternano ai triglifi le metope affrescate.
La volta della navata e della zona presbiteriale presenta a vista una copertura lignea, rinforzata prudenzialmente da travi di ferro. I due ampi bracci del transetto sono coperti da volta a botte e prendono luce da una finestra centrale.
L’interno costituisce una vera e propria pinacoteca del pittore foriano Cesare Calise (Forio 1560 circa- Napoli 1640 circa), documentato tra il 1588 ed il 1636 e ricordato anche dal De Dominici, un tardo manierista ruspante quanto carico di devozione. Egli vi lavora infatti per molti anni, tra il 1620 ed il 1635 ed a lui appartengono tutte le tavole, le tele e gli affreschi conservati nella chiesa, anche la pala sull’altare maggiore, attribuita da alcuni studiosi ad un altro artista. Alle opere realizzate in loco si è aggiunta di recente un’altra opera del Calise, comparsa sul mercato antiquariale e prontamente acquistata dai fedeli: una Madonna della Libera con in basso un panorama di Forio, eseguita nel 1614. Inoltre anche la volta, crollata nel terremoto del 1883, era completamente affrescata dall’artista.
Unica opera di un certo rilievo, estranea a questo singolare ciclo pittorico, è una statua lignea settecentesca rappresentante la Madonna della Libera.
Entrando, alle due pareti laterali, incontriamo le prime opere del Calise, firmate e datate 1635, sono due tempere grasse su intonaco raffiguranti la Pietà e la Crocifissione di San Pietro. Proseguendo nel transetto sinistro un altro dipinto del 1635, con San Francesco che riceve il Bambino dalla Vergine, completato da una lunetta in cui il Santo è raffigurato mentre riceve le stimmate. Una tela eseguita dall’artista, già avanti negli anni, contrassegnata da una pacata disposizione dei personaggi, da una discreta padronanza nell’uso del chiaroscuro e da atteggiamenti di serena dolcezza nelle fisionomie.
Modesto l’altare maggiore in marmi policromi realizzato nel 1874 per incarico di Aniello Sportiello. La pala d’altare non è firmata, ma può tranquillamente essere assegnata al Calise, essa rappresenta San Carlo Borromeo in preghiera e richiama la tela di analogo soggetto, conservata a Napoli in San Domenico Maggiore, attribuita a Filippo Vitale e Pacecco De Rosa, della quale ricalca gli stessi particolari somatici dall’impresentabile naso, affilato ed aquilino, agli stessi dettagli nell’abbigliamento.
Sui pilastri della zona absidale vi è una serie di quattro coppie di dipinti, a tempera su intonaco, raffiguranti santi, attribuibili ad un collaboratore del Calise e realizzati in contemporanea agli ultimi lavori di edificazione della chiesa. Sempre alla bottega sono assegnati i trentuno dipinti sulla controfacciata e su le pareti laterali in alto. Essi costituiscono una decorazione di tipo metopale, con crocifisso e serie di ritratti di santi a mezzo busto, incorniciati ed alternati da triglifi in tufo verde.
Ed infine, sull’altare del transetto destro, firmato e datato 1635, un dipinto con la Visione di San Giacinto del Calise, nel quale la parte più bella è costituita dalla Madonna con il Bambino, con in basso un gruppo di angioletti, affini anche nelle fisionomie a quelli presenti nella Madonna del Rosario, conservata nella chiesa di San Sebastiano di Barano. Il committente, ritratto in basso a sinistra, può essere identificato con Sebastiano Sportiello, il quale fece edificare la chiesa, come già ricordato, nel 1620.
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