Lucrezia nacque intorno al 1430, figlia di Nicola d'Alagni di Torre del Greco e di Marta Taraldi. Il padre era gentiluomo di corte di re Ladislao e poi di Giovanna II, legato di Napoli a Tunisi e poi capitano con Alfonso.
Apparteneva quindi ad una nobile famiglia, che nel passato aveva dato all’amministrazione statale molti funzionari. Si narra che l’incontro avvenne per caso a Napoli il 23 giugno 1448, alla vigilia della festa di san Giovanni Battista.
Era usanza per quella data che le ragazze offrissero al proprio amato in pegno d’amore una pianticella d’orzo o di grano, e che raccogliessero offerte per rendere più solenne e fastosa la processione e la festa. Proprio in quella occasione il Magnanimo incontrò, secondo la tradizione, per la prima volta Lucrezia, la bellissima creatura che fu poi il suo grande amore, sino alla morte. Il re, accompagnato da alcuni cortigiani, passeggiava per il centro della città, per uno dei vicoletti del Purgatorio ad Arco. Vedendolo passare, Lucrezia gli si mostrò davanti e gli offrì la pianta. Alfonso le diede una borsa colma di monete d’oro, ma Lucrezia, schernendosi con un sorriso gentile, prese solo un «alfonso» restituendo il resto.
Il re volle sapere chi fosse la ragazza, e la accompagnò alla funzione nella chiesa di San Giovanni a Mare. Lucrezia, a soli 18 anni, da quel giorno legò a sé il cinquantatreenne sovrano, che da circa trent’anni era diviso dalla legittima consorte Maria di Castiglia. Alfonso volle che la giovane sedesse alla sua destra a corte, nei cortei, nei tornei cavallereschi, negli spettacoli e perfino nelle manifestazioni ufficiali.
Si disse che Lucrezia accumulasse tesori e ricchezze, e indubbiamente riuscì a sistemare molto bene i suoi fratelli. Ricevette in feudo da Alfonso il castello e l’isola d’Ischia, e fu la prima castellana della nuova città edificata dal re aragonese, dove insediò il cognato Giovanni Torella in qualità di governatore militare del Castello. Due suoi fratelli ricevettero il titolo di conte e incarichi importanti a corte, un cugino Rinaldo Piscicelli fu nominato arcivescovo di Napoli, di fatto la carica più importante del regno dopo quella del re.
Di Lucrezia nessuno osò sparlare: tutti i cronisti dell’epoca sono concordi nel ritenerla «una vergine incontaminata», che pur amando il suo sovrano di "casto amore", sapeva tenerlo a bada. La favorita del re fu temuta da tutti, non escluso l’erede al trono Ferrante, duca di Calabria, e la consorte di questi Isabella di Chiaromonte. Persino l’imperatore Federico III, trovandosi a Napoli ospiti del sovrano aragonese, sostarono a Torre per ossequiare la sua favorita.
L’unione tra Lucrezia e il re fu propagandata come legame spirituale tra anime gemelle.
I poeti di corte esaltarono la purezza dei costumi della favorita. Perfino il letterato Enea Silvio Piccolommi – il futuro papa Pio II - mostrò di credere alla castità del rapporto tra il vecchio re e la bella fanciulla. Era convinzione generale che, qualora gli fosse morta la moglie Maria di Castiglia, Alfonso avrebbe sposato Lucrezia. Papa Callisto III, di origine catalana e suddito per nascita di Alfonso d’Aragona, negò più volte l’annullamento del matrimonio, che il re chiedeva per poter sposare Lucrezia.
Con il pretesto di un pellegrinaggio a Roma, Lucrezia stessa si recò da papa Callisto III per perorare la causa della separazione tra il re e la regina di Napoli. Il papa l’accolse con molti onori, ma di divorzio nemmeno a parlarne: come confidò agli amici, egli non aveva alcuna intenzione di “finire all’inferno insieme con l’amante del re”. Lucrezia sfogò la delusione influenzando da allora con ostentazione le decisioni del re e compiendo numerosi viaggi nella reggia del Castello d’Ischia, dove spesso organizzava sontuosi ricevimenti alla presenza dei personaggi più celebri dell’epoca.
Il 28 giugno del 1458, mentre i «puri» amanti speravano ancora nella sospirata morte della vecchia e malata regina, morì invece Alfonso.
La scomparsa del re provocò l’inesorabile declino della bella castellana di Torre. Immediatamente furono fatte circolare a corte voci sulla presunta vita dissoluta e sui vizi dell’ex favorita. Lucrezia, rimasta priva dell’appoggio del sovrano e di quanti si erano professati suoi amici, valutò l’idea di chiudersi in un convento, ma l’abitudine al potere ed alla vita politica condussero a nuove prove la bella ed orgogliosa donna.
Il regno di Napoli intanto era passato a Ferdinando I (Ferrante). Il resto dei domini di Alfonso passarono al fratello Giovanni. Il nuovo re di Napoli non incontrò i favori del papa e dei baroni. Questi ultimi, in modo particolare, offrirono la corona di Napoli a Giovanni d’Angiò, Figlio di Renato. Il 20 ottobre 1459 la flotta angiona, allestita anche con gli aiuti dei Genovesi, comparve nelle acque tra Ischia e Ponza. Molti marinai sbarcarono ad Ischia e fecero incetta di carne ed altre vettovaglie; trovarono delle botti di vino incustodite e si ubriacarono. Gli ischitani colsero l’occasione per disarmarli e rispedirli al re angioino.
Il Castello Aragonese, in quel frangente, restò saldamente nelle mani di Giovanni Torella, cognato di Lucrezia, che il Pontano descrisse come uomo avaro, ambizioso, malvagio, traditore, doppiogiochista, calunniatore e spergiuro. Il Torella fece diffondere ad arte la notizia che Lucrezia s’era alleata segretamente con Giovanni d’Angiò, al fine di renderla invisa agli occhi di Ferdinando ed ottenere da lui la concessione diretta del comando sul Castello. Lucrezia, in effetti, temeva di perdere il poco potere che l’era rimasto e trattava contemporaneamente con Ferrante e con i baroni filo-francesi; l’indecisione e il tradimento del cognato la costrinsero a fuggire in Dalmazia con l’aiuto di un capitano di ventura, con il quale - come si disse con scandalo a Napoli - aveva “diviso il letto”. Fu poi a Ravenna e nel 1477 a Roma. La «damigella vergine della Sacra Maestà del re Alfonso» morì «con santa devotione» nel febbraio del 1479 nella sua residenza romana, e fu sepolta nella basilica domenicana della Minerva, dove oggi non esiste più traccia della sua tomba.
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