La sagra del baccalà. Aspettando la vigilia di Natale...
Uno dei piatti principe della tavola natalizia ischitana e napoletana è sicuramente il baccalà. Pietanza antichissima importata in Campania dalla Norvegia, il merluzzo che diventa “stoccafisso” e “baccalà” non può mancare a Natale. Lo troviamo nel menù della vigilia, ma anche come spuntino a mezzogiorno del 24 dicembre.In questa lunga giornata che prepara la grande abbuffata del Natale, il digiuno è d’obbligo. Ma è un digiuno un po’ speciale: è un “digiuno alla napoletana”, perché spizzicare è permesso e non solo a chi sta ai fornelli. Pizze di scarole e baccalà fritto aiutano a giungere a sera con un sano appetito, ma senza troppo soffrire!
È tradizione sull’isola di Ischia che il 24 “around midday “ ci si riunisca in piazza per uno “snack norvegese”: baccalà fritto e pizza di scarole, un buon bicchiere di vino per riscaldare l’animo e…lo stomaco.
Nel comune di Ischia in genere sono vari i punti di ritrovo dove spizzicare cose buone in attesa della vigilia: alla riva sinistra, ad Ischia ponte, alla Mandra. E tutti gli altri comuni dell’isola di Ischia - Casamicciola, Lacco Ameno, Barano, Forio e Serrara Fontana - la mattina del 24 dicembre danno appuntamento in piazza e per le stradine dei borghi con la sagra del baccalà.
Femmene, cane e baccalà, p’essere bbone s’anna mazzià”.
Donne, cani e baccalà per essere buoni si devono picchiare. È un proverbio napoletano che la dice lunga sul metodo di preparazione del baccalà. La necessità di “mazziare”, di percuotere con una mazza il proprio cane e/o la propria moglie, per ottenerne il massimo in termini di rettitudine e di obbedienza: per renderli malleabili, nelle case napoletane si applica ad un terzo soggetto, non meno importante: il baccalà. A Napoli quel che è bello (sole, cielo e mare) non costa niente.
E quello che costa (poco o niente) è bello. E buono. Un esempio: il baccalà. Per il basso prezzo, il baccalà e lo stoccafisso: due eredi del merluzzo che hanno superato il maestro, erano un tempo considerati “il pesce dei poveri”. Un po’ come il pesce azzurro.Che fosse per amore autentico, o semplicemente per la capacità di amare quel che ci si può permettere (uno dei segreti della felicità), di baccalà a Napoli se ne mangiava davvero tanto, e tutto l’anno; dunque non solo a Natale.
Poi il consumo si ridusse del 70%, a favore della carne, status symbol di un raggiunto - o desiderato: dunque, in entrambi i casi, da ostentare - benessere.Baccalà e stock sono recentemente tornati a galla: la moderna scienza dell’alimentazione ha conferito dignità ad un comportamento alimentare che i napoletani avevano adottato per necessità. Il risultato del match con la carne, che sembrava perduto, si è infatti praticamente ribaltato: pari per le proteine (18% per tutt’e due), lieve vantaggio del baccalà per gli zuccheri (ne contiene di meno), e nuovo pari per quanto riguarda i grassi (0,3% per tutti e due).
Ma quest’ultimo è un pareggio fittizio: i grassi del baccalà non sono gli stessi della carne. Il merluzzo contiene infatti dei “grassi insaturi”: i famosi omega 3, detti anche “grassi buoni”, perché ripuliscono le arterie. A Napoli il baccalà è insomma di casa. Di insegne che recitano “baccalari” è tuttora piena la città.
I napoletani (tutti i campani, per la precisione) sono i più forti consumatori di baccalà d’Italia; paese tra i maggiori consumatori nel mondo.A conferma della passione dei napoletani per il baccalà, che dura tutto l’anno, con un picco significativo a Natale, le più grandi aziende italiane di importazione e di conservazione del baccalà si trovano in Campania, alle pendici del Vesuvio (Somma Vesuviana).
La storia dell’amore tra Napoli e il baccalà risale almeno al 1500.
E ancora una volta, si vede come i napoletani siano un popolo capace di trovare soluzioni. A quel tempo, la Chiesa della controriforma imponeva di “mangiar magro”: aveva cioè proibito il consumo di carne nei giorni comandati. Di conseguenza, la domanda di pesce era molto cresciuta, ed esigeva una risposta che il pesce locale non era in grado di dare. Se a questo si aggiunge che intorno a Napoli, grazie alle sorgenti del fiume Sebèto, c’era acqua in abbondanza per dissalare il baccalà, e -al contrario - per reidratare lo stoccafisso, si capisce come ricorrere ai figli del merluzzo sia stato un bel modo di cavarsela.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, e sopra stoccafisso e baccalà, che entrano oggi in molte raffinate ricette della cucina napoletana. In loro onore è nata addirittura un centro studi: l’”Accademia dello Stoccafisso Reale di Norvegia”, che si propone - per statuto- di informare i consumatori delle grandi qualità dello stoccafisso, e di riportare alla luce le antiche ricette che lo prevedevano: la preparazione della coda (un segreto della cucina flegrea), e la pancetta di stoccafisso con patate.
Senza dimenticare i tanti modi di cucinare il coroniello, la pancia dello stoccafisso tagliata a quadrati, unanimemente considerata la sua parte migliore. Quanto al baccalà, a Napoli è molto richiesto il mussillo: il filetto di baccalà, la parte dorsale del merluzzo. Il termine “mussillo” dipende dal fatto che il baccalà così lavorato assume l’aspetto di un piccolo “musso” (muso): dà l’idea di due labbra sottili.
Ad onte dell’ottima opinione che i napoletani (e i campani in genere) hanno del baccalà, sviluppata così “a naso”, (a nasello) anche per via dell’intenso odore che sprigiona, se a Napoli dovessero darvi del baccalà, accettatelo con piacere solo se è in un piatto: se invece vi viene detto, sappiate che non è un complimento.“I’ che baccalà!” si esclama quando si incontra un individuo imbranato, ingessato, privo di spontaneità e di verve: qualità che a Napoli avercele è normale, esserne privi un delitto.
Il “baccalà”, dove lo metti, là lo trovi: è privo di guizzi, e di spirito d’iniziativa.
Una caratteristica psicologica che non piace a nessuno, anche se tutto sommato andrebbe apprezzata: il “baccalà” è in fondo un tipo affidabile, dal quale non ci si devono aspettare dei colpi di testa, o dei voltafaccia.
Proprio come il baccalà da cui prende il nome: un alimento su cui si può contare sempre, perché si conserva a lungo, e non si deteriora. Un cibo che magari non riserverà particolari sorprese positive, ma nemmeno negative. Siamo d’accordo: non è particolarmente pregiato, non ha un bel profumo, ma sul baccalà (e su di un “baccalà”) si può sempre contare.
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