Racconta Bergsöe: - Io non avevo ben calcolato la distanza e quando ci mettemmo sulla via del ritorno, il sole era già scomparso all’orizzonte.
La notte in Italia cala rapidamente; nell’ombra degli aranceti smarrii la strada e ad un certo punto non seppi più dove fossimo.
Era ben chiaro, tuttavia, che seguendo la discesa avremmo raggiunto la strada. In effetti ciò accadde, ma sulla via, davanti al cancello di una villa, si trovava un grande cane che verosimilmente era uscito dal giardino. - C’è un cane là! disse Ibsen.
- Sì, risposi, ma non ci morderà.
- Tu non lo puoi sapere e io non voglio passargli davanti, replicò Ibsen.
- Allora non potremo rientrare, protestai. Noi dobbiamo passare oltre. Se vuoi, mi metterò tra te e il cane. Ibsen aveva una grande avversione per i cani; e veramente l’animale che ci stava dinanzi era tutt’altro che piccolo.
- Affrettiamoci, dissi; così non ci farà niente. Non bisogna far vedere che abbiamo paura.
- Io non ho paura, rispose Ibsen risentito; ma non si decideva a passare.
Allora camminammo diritto davanti al cane che stava immobile; ma, quando stavamo per oltrepassarlo, Ibsen fece uno scatto come se stesse per scappare e il cane gli si avventò contro e lo morse a una mano.
Un colpo di bastone ben assestato da parte mia fece fuggire il cane urlando; ma Ibsen era livido e guardava terrorizzato la sua mano. Io gliela esaminai attentamente, ma non trovai che un piccolo graffio. Malgrado ciò, Ibsen strillava:
- Quel cane è rabbioso; bisogna ucciderlo, altrimenti anch’io divento rabbioso. Tutti i mie ragionamenti erano vani. Inutilmente gli ripetevo che il cane non era malato. Invano lo assicuravo...
nella foto: la targa che ricorda il soggiorno di Garibaldi al Grand Hotel Villa Bellevue
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