Trionfi gastronomici della tavola barocca ischitana: il ragù
Qualcuno può anche provare commozione al cospetto di una fumante pentola di ragù fatto seguendo tutte le indicazioni della ricetta tradizionale, quella salsa che sfiora l'opera d'arte per quanta cura, sapienza e pazienza ci vuole per darle la giusta consistenza, il perfetto colore e quell'indimenticabile profondo sapore di Sud. Per più di uno il ragù è una religione. Agli adepti non importa se ci vogliono due giorni per prepararlo e pochi minuti per consumarlo, perché quei minuti saranno oro per la gola
Ad Ischia come in tutto il Golfo di Napoli è forte ed è viva la tradizione della salsa della domenica, il ragù.
La ricetta del ragù si tramanda da madre a figlia e figlio, perchè è sempre più frequente l’incursione degli uomini tra pentole e fornelli. Una ricetta antichissima come l’origine di questa laboriosa salsa attorno alla quale esiste anche una leggenda. Siamo in pieno medioevo, Napoli – come la maggior parte delle città italiane – vive grandi alternanze politiche che - come tutti sappiamo - all’epoca sfociavano ben volentieri in battaglie cruente.
Ma anche nel tenebroso e guerresco medioevo c’era chi desiderava un po’ di pace tra gli uomini, questi pacifisti si erano riuniti nella Compagnia dei Bianchi di giustizia, percorrevano la città invocando “misericordia e pace”. La leggenda vuole che la loro insistente propaganda desse degli ottimi risultati, quasi tutti si convinsero a rappacificarsi con i propri nemici, tranne un nobile signore che non cedette all’invito alla pace neanche quando il suo figlioletto in braccio alla balia sfilò le manine dalle fasce e ripetè il motto della Compagnia dei bianchi “Misericordia e pace”.
Ed allora ci pensò qualcuno più autorevole a dargli una lezione!
Un giorno la salsa dei maccheroni che gli aveva preparato la moglie si tramutò in sangue. Questo segno della provvidenza fu efficace. Quel brutto caratteraccio fece pace con i suoi nemici e vestì il bianco saio della Compagnia. E quando sua moglie preparò di nuovo i maccheroni questi ridivennero rossi. Ma quel misterioso intingolo aveva uno strano ed invitante profumo, molto buono ed il nobile signore trovò che era veramente saporito. Era nato il ragù. Questo capolavoro della cucina partenopea è come si evince dalla sua stessa origine più di un alimento, un simbolo e che simbolo! La pace, la concordia, la tranquilla serenità dell’uomo giusto.
Ecco perchè il ragù si gusta la domenica in famiglia come cibo beneaugurante concordia e ottimismo.
Una pietanza così ricca di significato non poteva certo sfuggire alla penna dei poeti e degli scrittori, Edoardo de Filippo gli dedica una famosa poesia che la dice lunga sulla maestria necessaria per creare questo capolavoro gastronomico: “’O rraù ca me piace a me, m’ ’o ffaceva sulo mammà. A che m’aggio spusato a te, ne parlammo pè ne parlà...” Quello che fai tu, si conclude la poesia, non è ragù, ma solo carne con la “pummarola”. Il ragù non è la carne ca’ pummarola, come precisa la poesia di Eduardo.
Fondamentali sono gli ingredienti ma ancora di più il tempo di cottura e la sua modalità, il ragù, si dice a Napoli, deve “piappiare”, una bellissima onomatopea che riproduce il suono che fa questa salsa nel tegame di creta dove va cotto a fuoco lentissimo per almeno 6 ore. Si, è complicato fare un ragù con i controfiocchi! Però sull’isola di Ischia nelle trattorie che celebrano lo slow food e la cultura della gastronomia locale è possibile gustare un ottimo piatto di maccheroni con il ragù, che se non è proprio quello della mamma di Edoardo, ci va molto vicino!
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