Palazzo Reale ad Ischia, armonie neoclassiche con vista sul porto
Era così bella quella villa che il medico Buonocore aveva fatto costruire su una collina affacciata sul lago di Ischia, che poteva ospitare anche dei re. E Ferdinando di Borbone gradì tanto il soggiorno che la volle tutta per sé
La famiglia Buonocore era tra le più antiche dell’isola d’Ischia; infatti, essa compare nei registri parrocchiali già alla fine del ‘500. All’epoca, tale famiglia possedeva una parte dei fondi situati al di sopra dei bagni di Fornello e Fontana. Fu Silvestro Buonocore che nel 1648, con l’acquisto di altri fondi, ingrandì la proprietà e quindi fornì le basi a suo nipote Francesco per creare il sontuoso palazzo che già nel 1735 si ergeva sulla collina sopra il lago e che veniva comunemente chiamato dalla gente del luogo il “Casino del Protomedico”.
Negli anni 1736, 1737 e 1740 Francesco Buonocore acquistò altri terreni sulle rive del lago e divenne l’unico proprietario di tutta la zona. Infatti, comprò anche la collina di San Pietro e prese in fitto dal Comune, vita natural durante, il lago (Buchner, 1984). Con questa operazione, Francesco Buonocore dava al suo palazzo lo spazio necessario a una piccola reggia. Il Protomedico, godendo della fiducia del re ed essendo assai stimato a corte, si formò ben presto una notevole clientela privata tra i nobili, che lo consideravano una vera autorità in campo medico.
Egli metteva a disposizione dei suoi nobili clienti la sua Villa ad Ischia, traendone lauti guadagni.
Il Casino sul lago divenne così una specie di sanatorio di lusso, dove pazienti altolocati trovavano alloggio e cure convenienti (D’Ascia, 1867). Tra le carte di famiglia è stato trovato un inventario degli oggetti presenti nella casa, tra i quali erano segnati ben 200 materassi. Questo dato costituisce una testimonianza indiretta della grandezza della dimora e dell’elevato numero delle sue stanze; ad ogni modo, la residenza era anche caratterizzata da arredi lussuosi, da bagni di acqua calda termale e da un ampio giardino ben sistemato.
Si può certamente affermare che la realizzazione di questo complesso rappresentò uno dei primi tentativi ben riusciti di valorizzazione e sfruttamento delle risorse termominerali dell’isola d’Ischia. Il 2 agosto del 1783 Ferdinando IV di Borbone re di Napoli si recò ad Ischia per incontrare un suo amico, il conte André Razoumowski, che si trovava nel Casino del Protomedico per una cura termale. Il giorno successivo, dopo essere arrivato all’ingresso dello stradone del Casino, pieno di ammirazione il re esclamò: “Oh, che bella situazione! Evviva il Buonocore”. Successivamente, il sovrano pose lo sguardo sul lago sottostante e rivolgendosi alle persone che lo accompagnavano disse: “Qui vogliamo farci una pescata”.
Giunto al palazzo, incominciò ad esaminarlo e nel corso della visita rimase impressionato dalla lunga fila di stanze nobilmente arredate ed esclamò: “Oh che nobile fuga. Evviva di nuovo il Buonocore” (Moraldi, 2003). Da queste frasi dette dal re, si può ben capire che da quel momento in Ferdinando nacque il desiderio di possedere tutte quelle meraviglie.
Il 4 agosto, il sovrano fece ritorno a Napoli e si ritirò nella sua reggia.
Anche la Regina Maria Carolina d’Austria era rimasta estasiata dalla bellezza dei luoghi, dall’accoglienza della gente e dalla bontà della frutta e dei pesci, così disse a sé stessa che l’anno seguente sarebbe tornata a divertirsi ad Ischia.
Nell’estate del 1784, verso la metà di luglio, il conte Andrè Razoumowski tornò a Ischia per cure termali e, come sua abitudine, prese alloggio nella Villa dei bagni, nel Casino di proprietà di Crescenzo Buonocore. Venuto a conoscenza della presenza del suo amico a Ischia, il re fece sapere che si sarebbe recato sull’isola domenica 25 luglio 1784.
La sera del 24 luglio, verso mezzanotte, il vascello reale gettava le ancore presso la marina al largo del borgo di Celsa.
Il mattino del 25 il re con una barca si recò alla marina di Lacco e verso le 22 dello stesso giorno giunse al Casino di Crescenzo Buonocore dove trascorse la notte. Il giorno dopo il sovrano partì per Procida, ove si fermò nel suo palazzo; mentre discorreva con alcuni cavalieri sulle qualità dell’isola su cui si trovava, disse: “Sì, l’è bella, ma Ischia tiene altro pregio”. Gli altri aggiunsero: “È vero Sua Maestà. Anche gli abitanti di Procida in tutti i tempi vanno a divertirsi a Ischia” (Moraldi, 2003).
Nel mese di settembre dello stesso anno, il re manifestò a Crescenzo Buonocore, affittuario del lago d’Ischia, il desiderio di acquisire per sé il lago; la notizia fu trasmessa a Crescenzo mediante una lettera scritta dal Soprintendente generale delle pesche reali, il principe di Tarsia. Il possesso del lago era soltanto un primo passo verso la realizzazione dei desideri del re, ormai innamorato dell’isola. Successivamente tra il 1785 e il 1786 avvenne il passaggio del Casino alla Casa reale; l’anno successivo, precisamente l’8 marzo del 1787, Crescenzo Buonocore morì. Il passaggio del Casino ai Borbone è sempre stato avvolto dal mistero.
Vari autori sostengono che esso sia avvenuto per donazione, ma è certo che, anche se l’acquisizione avvenne in tal modo, non si trattò assolutamente di un atto spontaneo (Buchner, 1984). Da quel momento, l’ex Casino del Protomedico entrò a far parte delle Reali Delizie; il re, che saltuariamente utilizzava la dimora, incaricò Philipp Hackert, il pittore ufficiale della sua corte, di realizzare diversi quadri con vedute dell’isola.
Subito dopo l’acquisizione dellavilla ischitana, Ferdinando IV decise di affidare all’architetto di maggiore prestigio di quel tempo, ossia Carlo Vanvitelli, l’incarico di elaborare un progetto di sistemazione della ex proprietà Buonocore (D’Arbitrio & Ziviello, 2000). Il grande architetto formulò due ipotesi progettuali che si differenziavano tra loro soprattutto per l’impostazione del giardino, rispettivamente “all’inglese” e “alla francese”. I due disegni furono presentati a Ferdinando IV affinché potesse scegliere quello più confacente. Entrambi i progetti contemplavano la realizzazione di un muro perimetrale che doveva delimitare l’area da annettere al Casino e, per desiderio del sovrano, prevedevano che il Casino stesso conservasse la sua originaria configurazione. Inoltre, il progetto in cui era contemplato l’impianto del giardino “all’inglese” prevedeva l’edificazione di un elegante padiglione di caccia con belvedere, alle cui spalle si stagliava la cima della collina, e la realizzazione nell’area antistante dal lato mare di una raggiera di piccoli viali in asse con l’edificio, innestati nel giardino. Nel progetto alternativo, anch’esso focalizzato sulla collina di S. Pietro, il Vanvitelli aveva previsto di spianare la superficie al fine di eliminare le asperità del sito e, in posizione avanzata fino a raggiungere l’estrema punta, di realizzare un giardino “alla francese”, tracciando un sistema di percorsi radiali rigorosamente simmetrici (D’Arbitrio & Ziviello, 2000). Completati i lavori strutturali e le sistemazioni esterne, il Casino e la Villa Reale avevano ormai assunto la loro fisionomia definitiva.
Solo dal 1829 sarebbero stati curati gli aspetti più strettamente ornamentali della struttura, ossia delle sculture da collocare, degli elementi decorativi ed infine degli arredi esterni, essendo quelli interni gia esistenti. Gran parte dello spazio esterno fu sistemato a vigna e a pomario; nei settori rimanenti si scelse di realizzare il giardino “all’inglese”, con percorsi e sentieri assecondanti la natura del terreno e disseminati di busti, statue, urne e reperti archeologici fatti venire da Portici e dal Real Museo Borbonico.
L’approvvigionamento idrico costituì un notevole problema per una villa di tali dimensioni, destinata ad accogliere una corte affollata e a soddisfare le necessità di un esteso giardino che ambiva ad includere alcuni giochi d’acqua, come ad esempio gli improvvisi zampilli nella grotta del mago egizio. Per ovviare a tali esigenze furono create capienti cisterne in vari punti del giardino; così fu costruita una piscina nel giardino “all’inglese” e una nel boschetto. Anche nel periodo in cui Napoli fu governata da un regime francese la dimora ischitana fu utilizzata dai regnanti. Gioacchino Murat, successore di Giuseppe Bonaparte e re di Napoli per otto anni, si rifugiava spesso assieme alla sua famiglia nel Casino del Protomedico a Ischia per godere dei suoi rari momenti di tranquillità. Nel 1816 Gioacchino Murat dovette fuggire da Napoli e si rifugiò nell’isola d’Ischia a Casamicciola, ove rimase per due notti e un giorno nell’allora famoso albergo Gran Sentinella, prima di andare incontro alla fucilazione (Buchner, 1984). Ferdinando IV di Borbone che, dopo il suo ritorno a Napoli dalla Sicilia, si proclamò Ferdinando I re delle Due Sicilie, morì il 4 gennaio 1825; suo figlio Francesco I utilizzò raramente la dimora ischitana, al contrario di Ferdinando II, re di Napoli dal 1831 al 1859.
Infatti, quando il figlio di Francesco I ascese al trono, tornò la vita nel Casino ischitano; il palazzo fu ingrandito, furono costruite alcune case accessorie e fu tracciato e realizzato il nuovo ingresso, più lungo ma meno ripido.
Oltre ad interessarsi in modo particolare al Casino, Ferdinando II si dedicò alla risoluzione di numerosi problemi riguardanti l’intera isola d’Ischia. Tra le varie opere che il sovrano volle pianificare nel territorio ischitano, alcune riguardarono la zona situata nelle immediate vicinanze del palazzo reale, che si presentava inalterata dai tempi del Protomedico Francesco Buonocore. Per quanto riguardava lo spazio esterno al Casino reale, Ferdinando II preferì che fosse adeguato alle caratteristiche dell’edificio, che non si distaccasse eccessivamente dal paesaggio naturale, ma che includesse alcune soluzioni ad effetto. In tale spazio esterno, la grande estensione della “Vigna” costituiva non solo una protezione, ma anche l’emblema della continuità nella tradizione del sito.
L’attraversamento era affidato a vialetti ben ordinati, bordati con le “lavandole”. Il giardino “all’inglese”, con il boschetto realizzato sulla collina di San Pietro, costituiva un naturale avvicendamento con il giardino romantico che circondava il palazzo. Nella realizzazione del progetto si fece largo uso di scogli, pietre pomici e porose di origine vulcanica provenienti dalle zone del Cremato, dell’Arso e del Mortito, nonché dalla collina di San Pietro (D’Arbitrio & Ziviello, 2000).
Del giardino del Casino Reale, nello stesso periodo in cui rinverdì la distesa lavica della colata dell’Arso, si occupò il botanico di corte Giovanni Gussone, che tra l’altro alloggiava nella “Casa dei Maestri”, una palazzina che si trovava all’interno del giardino vicino al Casino stesso (Tenore, 1858, Buchner, 1984). Lo spazio verde a corredo del Casino presentava una superficie limitata ed era caratterizzato dalla presenza di piante disposte lungo i viali o in piccole aiuole che circondavano gli edifici, quasi celandoli alla vista. Per arricchire la componente vegetale di tale giardino, il botanico di corte scelse con cura piante di sicuro gradimento per i Borbone e, in associazione con le specie preesistenti, inserì esemplari di Camellia japonica L., Cinnamomum camphora Nees et Eberm., Citrus aurantium L., Eucalyptus camaldulensis Dehnh., Eucalyptus botryoides Sm., Pinus pinea e Pittosporum undulatum Vent., che ancora oggi è possibile osservare, e inoltre Adhatoda vasica Nees, Antholyza bicolor Gasp. ex Ten., Citrus spp., Laurus nobilis L., Pinus pinaster, Platanus orientalis L. e Quercus ilex L. Nei luoghi ombrosi, fu adoperata Acanthus mollis L., mentre per la realizzazione di macchie decorative furono usate le camelie e gli agrumi, in particolar modo cultivar di Citrus aurantium non molto diffusi in altri giardini.
Per creare effetti scenografici, furono inoltre realizzate nel giardino false grotte rivestite con pietre di schiuma vulcanica; con il medesimo materiale furono costruiti anche i cordoli che delimitavano le aiuole (Vallariello, 2000). Dietro ogni curva la sorpresa di una nuova specie arborea, di una diversa visuale sul giardino o sul panorama del porto, di Procida o della costa napoletana.
Così le specie arboree a grande sviluppo furono sistemate in modo da non ostacolare lo sguardo sulle bellezze del panorama. La successione dei vari settori disposti armonicamente lungo il naturale declivio si arresta con un belvedere ubicato nei pressi della palazzina. Come già affermato in precedenza, oltre che della riorganizzazione del giardino annesso al Casino reale, il Gussone si occupò anche della realizzazione del giardino della “Pagoda”, padiglione in stile cinese costruito in occasione dell’inaugurazione del porto di Ischia. Quest’ultimo fu realizzato per volere di Ferdinando II il quale, nell’estate del 1853, mentre era in vacanza con la sua famiglia ad Ischia, decise di trasformare il lago di Villa dei Bagni in un porto.
I lavori incominciarono alla fine di luglio e anche qui vennero utilizzati in gran parte i coatti che si trovavano sul Castello. Un anno dopo, il 31 luglio 1854, il vapore reale Delfino fece il suo ingresso nel porto d’Ischia; la vera inaugurazione di questa importante opera avvenne il 17 settembre dello stesso anno.
La famiglia reale era gia da mesi sull’isola, giacché a Napoli era scoppiato il colera; insieme a numerosi rappresentanti della nobiltà napoletana, essa assistette dal terrazzo della “Pagoda” alla solenne inaugurazione (Vallariello, 2000). Iniziava così l’esistenza del porto d’Ischia, anche se i lavori di completamento continuarono per alcuni anni con la costruzione del faro e del telegrafo elettromagnetico. Il giardino della “Pagoda”, realizzato al pari dell’edificio in occasione dell’inaugurazione del porto, apparteneva alla Villa reale. Infatti, gli spazi esterni al Casino Reale comprendevano sia il lato destro del porto, con la collina di San Pietro, che quello sinistro, con il giardino e la Pagoda sistemati quasi all’imboccatura. Tali spazi furono oggetto di continue sistemazioni che si protrassero per diversi anni.
Questi lavori si resero necessari per evitare intorno alle pertinenze reali fastidiose intromissioni, rese possibili dal prevedibile aumento dei traffici causato dall’apertura del porto. Da quanto sinora affermato, risulta evidente che l’attività di Giovanni Gussone, botanico di riconosciuta fama, fu determinante per la sistemazione a verde della Villa reale e delle sue pertinenze. Grazie alla sua opera, non si verificarono più incauti inserimenti di specie non idonee alle condizioni ambientali e in particolare a quelle del suolo e sottosuolo, caratterizzato da temperature del tutto inconsuete. Nel 1858 la famiglia reale si recò per l’ultima volta a Ischia. L’anno successivo Ferdinando II morì e sul trono salì Francesco II. Ben presto, per il nuovo regnante la situazione politica divenne disperata. Conseguentemente, il 6 settembre 1860 il sovrano lasciò Napoli e iniziò così una nuova era.
Per il Casino che fu di Francesco Buonocore, la fine del regime borbonico provocò tristi conseguenze. La popolazione isolana si credette padrona della proprietà degli ex sovrani e in pochissimo tempo saccheggiò la palazzina e devastò il giardino. Per quanto concerne quest’ultimo, il D’Ascia e altri autori hanno affermato che furono manomessi le fioriere, gli agrumeti e i pomari. Dopo la caduta dei Borbone, la Villa reale diventò proprietà del demanio e rimase per alcuni anni in completo abbandono.
Nel 1865, essa fu trasformata in stazione di cura termale riservata al personale militare. Attualmente, tale struttura non ha cambiato destinazione e si chiama Stabilimento Balneo Termale Militare Francesco Buonocore. Alcune pertinenze reali esterne alla Villa, in particolare quelle sulla riva destra e su quella sinistra del porto, sono state trasformate e la loro destinazione e il loro uso sono stati modificati.
Dei giardini presenti un tempo in tali siti, ossia quello progettato da Carlo Vanvitelli sulla riva destra del porto e quello realizzato da Giovanni Gussone sulla riva sinistra, solo una parte di quest’ultimo, notevolmente modificata rispetto al passato, viene oggi utilizzata come parco pubblico.
Sprofondata in un roseto ed affacciata sul mare la Torre di Guevara è un gioiello di architettura rinascimentale, dove le mura “pictae” trasudano storie e leggende d’amore. Un luogo dell’anima dove andare a caccia di atm..
E sono cascate di vetri coloratissimi tardo liberty, grandi cani in carne ed ossa e freddi bianchi molossi di ceramica, pavimenti grecizzanti, enormi camini umbertini, leggiadri parati fiorati, porte e finestre a sesto a..
La presenza delle “guarno” (guarnigioni) dislocate lungo le marine, si dimostrò insufficiente, specialmente nel territorio di “Furio” (oggi Forio), dove la piccola popolazione dovette abbandonare l'incantevole marina di ..